sabato 3 ottobre 2015

Una vita (anzi due) in un armadio

La casa è pulita, imbiancata di fresco. 
Il mobilio è scarno, pochi pezzi, ma essenziali.
C'è la sala comune con un grande tavolo e la tv che è anche la prima in cui entri, appena varcata la soglia.
Anche la cucina è unica per tutti, è abbastanza grande, anche qui si è scelto un arrendamento che sia funzionale, più simile a quello di un ristorante che di una casa.
Attraverso il vetro dello sportello si vede cosa c'è nella dispensa: un pacco di fette biscottate e due pacchi di biscotti secchi, nemmeno troppo grandi.
Poche cose che rendono difficile immaginare che lì dentro vivono cinque nuclei familiari con bambini che vanno alle elementari e alle medie.
Penso a mio figlio maggiore, di 8 anni, che è nel primo sviluppo e mangia come non mai e poi guardo quegli unici due pacchi di biscotti.


"Oggi saranno contenti" - mi dice la mia amica indicando il tavolo.
Con un gruppo di mamme abbiamo organizzato una raccolta: generi alimentari, vestiti, materiale scolastico. In molti casi gli oggetti provengono dalle nostre case: quaderni inutilizzati, zainetti ancora in buono stato che sono stati sostituiti dal modello appena uscito, vestiti che ai nostri ragazzi non entrano più.
Ma anche tante cose da mangiare, comprate soprattutto per i bambini che oggi, sul tavolo, troveranno cose che non hanno mai, tipo nutella, biscotti al cioccolato e tante altre cose buone.

La casa famiglia è un luogo protetto.
Io mi trovo li solo perchè ho dovuto aiutare la mia amica, che ci lavora, a portare tutte quelle cose.
E' stata aperta da poco, per iniziativa del parroco della chiesa qui vicino: uno di quei preti che lavorano nell'ombra e che conoscendoli ti fanno dimenticare gli scandali e le ingiustizie dell'istituzione Chiesa.
Nella casa, come ho detto prima, ci sono attualmente cinque nuclei familiari, ma nessun uomo: è una casa famiglia per le donne vittime di violenza, che spesso fuggono insieme ai figli da mariti che vogliono ucciderle.
Donne in difficoltà che sono lì per essere aiutate a rendersi indipendenti.
Il progetto infatti non è fine a se stesso, la casa non è un luogo di arrivo, ma uno di passaggio.
Le donne restano lì finché non riescono a trovare un lavoro per mantenere se stesse e i propri figli.
Dopo inizia una nuova avventura, in una casa propria, che nella maggior parte dei casi viene arredata, come la casa famiglia, grazie alla generosità dei parrocchiani.

In molti hanno dato il proprio contributo, chi non poteva attingere a risorse economiche ha aiutato come poteva, ecco quindi come è nato il muretto di ingresso, come è stato ripulito il giardino, come sono stati dipinti i muri.
E' per questo che li dentro si respira solidarietà, ma non solo.

Passando in corridoio si vede l'interno delle camere.
Due, tre letti, a seconda di chi vi dorme.
Sono tutte pulitissime, perfettamente in ordine, anche perchè gli oggetti sono talmente pochi che è difficile si possa creare disordine.
La mia amica mi racconta dove ha trovato questo o quel pezzo di arredamento, di come gli arredi sono stati ridipinti, del grande lavoro che è stato fatto.
Il mio giro prosegue per un pò, ma il mio cuore si ferma alla seconda stanza: due letti messi vicini per formarne uno solo più grande, un peluches, una scrivania e un piccolo armadio di ikea, il più piccolo che si possa immaginare.
"Come fai a far entrare una vita in quell'armadio", riflette a voce la mia amica.
"Due vite", sottolineo io, pensando che in quella stanza dormono una mamma e il suo bambino.

La dignità di quelle donne ti colpisce come uno schiaffo insieme al pensiero di quanto stupidi e inutili siano i problemi che ci creiamo ogni giorno.
Qualcuna di loro mi ringrazia per tutte quelle cose, ma la verità è che sono io a dover ringraziare loro per questa grande lezione di vita.

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